STRABISMI 7

numero dedicato alle opere Das Erdtelephon, Joseph  Beuys, 1968

e Art by telephone, Walter De Maria, 1967


In questo numero contributi di: Ermanno Cristini, Luca Scarabelli, Lorenzo Madaro, Michele Lombardelli, Massimo Marchetti, Gianluca Codeghini, Andrea Lacarpia, Giovanni Morbin.


Dialogo e terza via

di LORENZO MADARO

 

Quando Ermanno mi ha chiesto di scrivere su queste due opere, sono partito da Beuys. Forse perché stanotte ho visto Capri revolution di Martone, in cui c’è un esplicito riferimento al maestro tedesco e alla sua Capri battery, un’opera concettualmente robusta eppure immediata, poetica e di dimensioni circoscritte: un limone e una lampadina che irradiano energia, ovvero la potenza della semplicità. È un multiplo prodotto da Lucio Amelio che ribadisce la dimensione del dialogo con i luoghi e le comunità, punto di partenza per molte esperienze nell’arte di Beuys, soprattutto in Italia. E allora sono andato a rivedere le foto che lo ritraggono nell’archivio Getty Images: lui è sempre concentrato sulle sue azioni e, allo stesso tempo, è sempre propenso al confronto, all’altro, quindi al dialogo. “L’arte non significa, l’arte è”, dice – ieratico – Amelio in un’intensa intervista rilasciata per Martone nel 1993. Questo assunto mi pare calzante anche per Das Erdtelephon. Un telefono è affiancato a una pietra, densa di stratificazioni materiche, terra, brandelli di natura che Beuys connette idealmente con uno strumento diffuso della comunicazione dell’epoca, il telefono, che qui ha un’aura quasi sacrale, mistica. Lo si comprende anche dallo straordinario scatto che ha dedicato a quest’opera Claudio Abate, come è emerso da una mostra del maggio 2006 – Block Beuys – nella Galleria Dell’Oca di Luisa Laureati Briganti a Roma. Sono reliquie di due mondi, l’ancestralità della natura e la “velocità” di un presente possibile. Insieme, sono la terza via, la “Terza via di Beuys”. Walter De Maria con Art by telephone invece ribalta il senso metaforico della comunicazione diretta tra l’artista e il suo interlocutore installando un telefono nello spazio espositivo, ma collegato alla sua personale linea telefonica. De Maria intende quindi dialogare direttamente con il suo pubblico, instaurando un confronto serrato, reale, rischioso, vero.


LE SORTI DEL MONDO APPESE A UN FILO TELEFONICO

di MASSIMO MARCHETTI

 

Le date delle due opere in questione ci portano alla fine degli anni Sessanta, un’epoca che siamo abituati a considerare ottimistica e rivoluzionaria. In quest’ottica, la centralità data all’oggetto telefono, e quindi al tema della comunicazione a distanza, potrebbe plausibilmente essere interpretata come una celebrazione delle opportunità offerte dal progresso di annullare gli spazi che isolano l’uomo. Ma è proprio la complessità della fase storica in cui si collocano i due lavori a stimolare la ricerca di qualche indizio che permetta una lettura alternativa in cui la comunicazione si manifesti invece come problema. All’inizio di quel decennio, difatti, la Casa Bianca e il Cremlino decisero di installare un sistema diretto di telecomunicazione, la famosa “linea rossa” per i casi più gravi in cui si rischiava un conflitto nucleare. Da quel momento nell’immaginario collettivo le sorti del mondo sarebbero state quasi letteralmente appese a un filo telefonico.

Ecco che il binomio proposto da Beuys, che di primo acchito evocherebbe una contaminazione tra i flussi di informazioni e le energie della natura, rivela l’assenza di un reale innesto tra i due elementi, costringendo alla presa d’atto dell’inconciliabilità di questi mondi.  Un’autentica frustrazione è invece causata dal telefono di De Maria che, presentato al vernissage di When Attitudes Become Form, sappiamo essere rimasto per tutto l’evento silente, segnalando che l’artista in definitiva non intendeva comunicare.  I “fallimenti” di queste connessioni rimandano quindi a un’afasia figlia di un’epoca storica in cui l’atto comunicativo suscitava anche inquietudini di vasta portata. Gregory Bateson, in quegli anni, collegava gli sviluppi della teoria dei giochi in ambito accademico alle necessità strategiche della guerra fredda; non sarebbe quindi possibile che anche la focalizzazione sui temi della comunicazione e del linguaggio operata negli stessi anni dalla ricerca artistica affondi le sue radici nella tensione di una minaccia incombente? 


LOSQUILLO DEL SILENZIO E IL PERCEPIRE ORIGINARIO

di ERMANNO CRISTINI

 

Das Erdtelephone, il “Telefono terrestre” è un titolo che contiene un paradosso: ancorato a una materia cruda e primigenia, la terra, genera tuttavia un clima di sospensione quasi in attesa di una chiamata “superiore”, forse dall’aldilà, in piena coerenza con l’approccio sciamanico beuysiano.

La dialettica tra tecnica e natura ricorre spesso nel lavoro di Beuys, esercitandosi attraverso la generazione di campi di forza, polarità che costituiscono un principio energetico. Telefono / terra è la medesima dialettica delle coppie miele / motore; grasso / batteria; feltro / pianoforte, ecc. perché la visione della natura energetica e processuale della materia costituisce un elemento centrale della poetica di questo autore. Non solo, ma entro una concezione antropologica del fare artistico, come è propria del lavoro di Beuys, la ricerca di una rinascita attraverso gli elementi della terra è la chiave di un sistema in cui l’“opera” assume valenze terapeutiche e salvifiche. La vita dell’opera richiede un atto di fede e la fede ha a che fare con “chiamate” che, in quanto virgolettate, provengono da qualche “altrove”.

Quasi si può pensare allora che la “chiamata” di Beuys  abbia a che fare, più in generale, con le sue radici tedesche e a quella linea della filosofia che va da Benjamin a Heidegger o a Wittgenstein votata a una visione quasi salvifica dell’intellettuale.

Proprio in questi termini si qualifica il concetto di scultura in quanto “plastica sociale” a cui in ultima analisi fa capo l’intera opera di questo autore. 

Ma d’altro lato il medesimo concetto rimanda a una creatività come messa in forma della libertà, in quanto condizione di riscatto dell’uomo.

Se si considera che Das Erdtelephone è del 1968, esso appare anche sotto la luce dell’utopia di un momento in lotta per l’uomo. Un’utopia dietro le cui spinte vacillano improvvisamente tutte le certezze di una cultura fattasi troppo spesso consolatoria e autoreferenziale. Si tratta di un movimento tellurico che non risparmia niente e nessuno e per quanto riguarda l’opera e l’operare ne mina i fondamenti. L’opera si sgretola tra le mani attribuendo all’operare il valore di opera e puntando l’attenzione sulla relazione tra i due attori che la rendono possibile: l’autore e lo spettatore. Da questo punto di vista Das Erdtelephone “chiama” un altro telefono: Art by telephone, di Walter De Maria, antecedente di un anno, ma esposto nel ’69 nella celeberrima mostra bernese di Szeemann, When Attitudes Become Form. E nel caso del lavoro di De Maria l’“attitudine” è lo sprechen, diventato forma in quanto l’opera diventa il territorio intangibile di una relazione possibile. Intangibile perché la relazione in quanto tale si fa materia dell’opera, e intangibile in quanto trattenuta nel campo della possibilità. De Maria infatti non chiamerà mai durante la mostra bernese, rimarcando, per sottrazione, la forza dell’azione. 

Il telefono di De Maria dà forma a un’aporia, in cui, quasi aristotelicamente, la potenza è definita dalla possibilità del suo non esercizio. Una condizione che Giorgio Agamben vede come costitutiva del fare artistico in quanto luogo della “maestria”: “Contrariamente ad un equivoco diffuso, la maestria non è perfezione formale, ma, proprio al contrario, conservazione della potenza nell’atto, salvazione dell’imperfezione nella forma perfetta”. 

Scuotendo i modi dell’arte, Art by telephone ne restituisce allora – o tende a – l’autenticità dei fondamenti, senza orpelli. La chiamata “muta”, che non ha luogo, attribuisce allo sprechen, in quanto esercitato in potenza, la valenza di medium, ovvero di evento rivelativo e non comunicativo indirizzato a un “percepire originario”, nel senso che il termine ha in Benjamin.

Tra i due telefoni il cerchio si chiude aprendosi alla necessità del silenzio, dove l’attesa della “chiamata” si carica di valore etico, sia che essa debba arrivare dai megafoni della storia che dai labirinti dell’indicibile.


QUANDO IL SENSO SI RICONFIGURA

di ANDREA LACARPIA

 

Affermando l’indipendenza delle opere rispetto agli autori, Art by telephone di Walter De Maria e Das Erdtelephon di Joseph Beuys possono parlare dell’epoca in cui sono nate come dei tempi in cui rivivono ogni volta che vengono di nuovo esposte e interpretate. Una veloce ricerca su Google Immagini rivela come queste opere, pur essendo identiche, possano in qualche modo cambiare identità a seconda dei tempi e delle diverse modalità di documentazione.

Scorrendo nel motore di ricerca attira l’attenzione una foto dell’inaugurazione della riedizione veneziana di When Attitudes Become Form, mostra presentata dalla Fondazione Prada nel 2013, in cui è stato minuziosamente riprodotto l’allestimento originale della storica mostra curata da Harald Szeemann a Berna nel 1969. La foto ritrae Miuccia Prada che conversa al telefono con De Maria, attivando così l’opera per la prima volta. Rispetto alle foto d’epoca, in cui il telefono e il cartello associato sono isolati dal contesto, l’immagine con Miuccia Prada assume una valenza diversa: si passa da un’ambigua presenza-assenza dell’artista, un fantasma che potrebbe chiamare ma che in realtà alla mostra di Berna non chiamò mai, a quella dell’artista parlante che dialoga con una delle figure più influenti del mondo dell’arte internazionale, ventesima nell’ultima classifica Power100 pubblicata da ArtReview. Da una metafisica dell’assenza a una metafisica della mondanità.

Das Erdtelephon di Joseph Beuys ha invece una valenza più fisica, pur originata dalla volontà di esprimere un’energia ineffabile. In essa il telefono è associato a un’informe massa di terriccio misto a erba, il tutto appoggiato su una tavola di legno grezzo. Anche qui sembra che l’opera alluda a una telefonata, ma alla pulizia del cartello di De Maria si sostituisce la massa informe e quasi repellente dell’elemento naturale, allusivo a un’originaria energia vitale. I toni sono quelli bruni della terra e l’assemblaggio mette i due elementi, tecnologico e naturale, in perfetta simmetria. 

Cercando sempre su Google Immagini scopro che negli anni ’80 Claudio Abate, fotografo che tra gli anni ’60 e gli anni ’80 ha documentato le opere di diversi artisti, ha fotografato l’opera di Beuys dandone un’interpretazione interessante che in qualche modo ne riconfigura il senso. Nell’immagine il telefono e il ciuffo di terra non sono più simmetrici: l’apparecchio telefonico diviene centrale e il terriccio è spostato lateralmente, ripulito e secondario. Il piano di legno grezzo scompare per essere sostituito da una moquette uniforme, che rimanda a un caldo ed elegante ambiente domestico. 

La forma rustica e quasi sgradevole dell’opera di Beuys diviene immagine armonica e rassicurante, in cui l’estetica rurale, non priva di toni retorici, cede all’iconica sensualità dell’oggetto tecnologico, emblema del comfort postmoderno.


SILENZI CHE PARLANO

di LUCA SCARABELLI

 

Il telefono di terra e il telefono per terra, il telefono terrestre, la terra come telefono; le due opere condividono aspetti che riguardano la comunicazione a distanza, l’abbassamento verso l’orizzontalità della terra, lo sguardo dall’alto, il dialogo, il rapporto con le cose attorno, l’attesa.

Dal telettrofono al cellulare la distanza è accorciata dalla tecnologia; attesa, verifica del contatto, azione.

 

– Pronto… Pronto? Joseph!

– Sì, pronto! Sei tu Walter?

 

Con Joseph Beuys l’aspetto dialettico – in quanto comunicazione latente, che è praticamente inattualizzabile nella causalità specifica in questo caso – mi sembra sia concentrato nella indiretta corrispondenza con l’accumulo di terra e paglia a lato del telefono. Si tratta di una vera e propria messa in forma agreste di una potenzialità, di un progetto comunicativo, un telefono di terra come materia animata, che vedo come proiezione fisica di una voce possibile, per una conversazione antropologica condensata, compresa di rumori e umori organici (aspetto che è presente in tutta l’opera plastico sociale di Beuys: uomo e terra = parola e anima primordiale). Un telefono primitivo che ci parla del mito, di una vita che si trasforma, di feticcio, di oggetto che dice qualcosa di misterioso, di humus e di pensiero. L’aspetto del silenzio che comunque comporta un telefono banalmente staccato dalla linea è anche presente, ma è un silenzio che ci parla, che silenziosamente ci dice qualcosa sulla possibilità della parola come linfa vitale, e anche qualcosa sulla conversazione, che poi è anche uno dei pilastri della ricerca di Beuys. Parola e discorso pronto a districarsi dalla matassa aggrovigliata del filo.

Con Walter De Maria c’è la possibilità reale di un incontro a voce con lui, durante l’apertura della mostra, si di-mostra un evento fortuito, forse ambito? Condizionato dal caso e dalla decisione di confermare la richiesta dopo lo squillo. Alzo la cornetta e sento che cosa vuoi dirmi. De Maria mi interpella. Avrà piacere di parlare con uno sconosciuto in mostra. 

Articola così una determinata occasione che rimanda alla competenza comunicativa, attraverso l’avviso di chiamata che accompagna il telefono fissa una procedura, predispone un’etichetta attraverso il turno per prendere la parola. Costruisce l’asse io-tu di Buber, travestito tecnologicamente. È un momento particolare nel flusso del tempo che passa, nell’attesa del dialogo; giri attorno due o tre volte al telefono adagiato a terra e aspetti. Il cartello ci mette sull’avviso. E aspetti. L’invisibile è dietro l’angolo per De Maria, ed è la realtà stessa nella manifestazione inaspettata dell’attesa, un po’ come nei suoi Invisible drawings del 1965 o nei fulmini di The lighthing Field del 1977. Aspetto che accada qualcosa e il tempo passa lentamente.

Sono opere il cui problema non è quello del semplice trasferimento di informazioni, ma la costruzione sociale della realtà (B. Pearce, 1989), opere che si manifestano nel silenzio dell’osservatore e nell’attesa di un evento specifico e che si concludono nel senso di responsabilità condivisa.

L’arte che passa dal telefono, l’arte della parola e l’arte come una presenza fantasmatica, cortigiana, mitologica: una reale conversazione impossibile e una finta conversazione possibile. Quando le cose parlano per noi, il mondo è una costruzione umana e l’altro è il nostro interlocutore. In mezzo il logos.


 

TELEFONO CASA MATERIA

Per una gnoseologia dell'oggetto ad uso materno

di GIANLUCA CODEGHINI

 

Il nudo telefono, con la cornetta rannicchiata su se stessa e collegata al suo cordone ombelicale, sarebbe una forma archetipica dell’affezione in cui credere indistintamente. 

È evidente che in queste due opere la ricerca sia centrata sulla funzione iconica e sulla comprensione della struttura rappresentazionale; però è altrettanto evidente che c’è dell’altro: ci rendiamo conto che la plastica sociale e formale a cui sono sottoposte si contrappone a quella di due volontà in potenza. L’oggetto telefono come strumento di riconciliazione con qualcosa o con qualcuno è per Beuys un feedback alchemico, un viatico alla ricerca del proto-luogo, mentre per De Maria è più una abduzione codificata, un qui ed ora alla ricerca del proto-suono. 

Un dialogo a tre con cui ridurre le distanze tra il pensiero dell’oggetto regolamentato e la sua nuova materia, al punto tale da lasciare nella memoria il dubbio di aver telefonato a qualcun altro o di non aver telefonato affatto.