STRABISMI 3

numero dedicato a  Self-Portrait as a Fountain, 1966 di Bruce Nauman


In questo numero contributi di: Daniele Capra, Ermanno Cristini, Curandi-Katz, Michela Lupieri, Rossella Moratto, Giancarlo Norese, Enzo Umbaca, Luca Scarabelli


ESSERE NUDI

di ERMANNO CRISTINI

 

Analogamente al precedente duchampiano, ci sono casi in cui le parole e le cose vanno ognuna nella propria direzione scuotendo il linguaggio.

Se il termine “fontana” si è stratificato di significati aggiunti che l’hanno fatto scivolare verso l’esibizione celebrativa, qui esso si rovescia: si torna all’acqua che scorre nella sua “nudità” quale fondamento del corpo, addirittura in identità con il corpo. In flusso, come suggerisce l’arco, entro una ipotetica circolarità che rimanda alla vita stessa. L’epicentro del lavoro di Nauman è la bocca, strumento di un sapere che afferra le cose prima ancora che esse si facciano parole. Elemento di un’appropriazione tattile del mondo fatta di suzione; ritorno alla nascita. Infanzia dell’uomo e corpo umido a parlarci di quella energia acquatica che è bello immaginare, con Talete, come base del mondo, e anche fattore della sua precarietà. Da questo punto di vista Fountain è una forza che si nutre della precarietà dell’origine. A forma di arco, dunque, e in quanto tale simbolo d’amore e del legame tra cielo e terra. Amore per il fondamento o amore come fondamento? Entrambi i corni della domanda contestualizzano il lavoro nella sua stagione ma poiché presuppongono la radicalità di gesti essenziali parrebbero contenere anche una risposta, in termini di poetiche, a un’altra precarietà, quella effimera del presente. Perché, persi nei vestiti, l’unica salvezza per l’essere è forse il coraggio di denudarsi.

 


SU SELF PORTRAIT AS A FOUNTAIN

di ROSSELLA MORATTO

 

Irriverente, ironico e disarmante: Self Portrait as a Fountain è ben più di un autoritratto.

Nella fotografia Nauman riprende se stesso mentre sputa un getto d’acqua dalla bocca. Mima una fontana, descrivendo visivamente l’enunciato espresso nel titolo. In questo lavoro – e negli altri della serie Eleven Color Photographs del 1966-70 – l’artista ragiona sul rapporto tra immagine e parola: i titoli corrispondono letteralmente alle immagini, ne sono le didascalie descrittive allo stesso modo in cui le immagini ne sono l’illustrazione. Ma in questa dinamica di corrispondenze che si dà nella zona liminale tra i due linguaggi, si apre uno spazio vuoto – l’inevitabile perdita nella traduzione per impossibilità di rendere la ridondanza o l’indeterminatezza del visivo, in questo caso – che nega un senso definito e apre all’ambiguità immaginativa dell’arte.

I think the point where language starts to break down as a useful tool for communication is the edge where poetry or art occurs. (Bruce Nauman)

E infatti questa fontana non è solo una fontana: è una dichiarazione di intenti che esplicita l’approccio diretto, soggettivo, il pensiero divergente e la coraggiosa rottura dei cliché che guidano la pratica dell’artista americano, erede della lezione duchampiana aggiornata alla contemporaneità. Nonostante la discendenza non sia diretta e proceda per vie tortuose è innegabile che quest’opera sia figlia – o meglio nipote – di quel pensiero.

Self Portrait as a Fountain rimette in scena l’omonima Fontana di Duchamp del 1917. Allora un orinatoio esposto e firmato Mutt, cinquant’anni dopo la citazione si attualizza nella performance, restituita in un’immagine analogamente ambigua e sottilmente destabilizzante che vede Nauman stesso mettersi in gioco. Naturalmente c’è l’irrisione della tradizione dell’autoritratto e della sua forma vi- rilmente e socialmente accettabile: diventando fontana e zampillo l’artista si fa metafora della minzione.

Le fontane urofiliche, simbolo di fertilità, sono da sempre un tema frequentatissimo nella storia dell’arte a partire dall’antichità greco- romana: impossibile citarle tutte, quindi mi limito a qualche riman- do scelto in base al mio gusto, con il solo intento di tracciare una personale linea interpretativa.

Lorenzo Lotto, Venere e Cupido, 1530, Metropolitan Museum, New York

E da qui comincia il gioco delle libere associazioni – senza pretesa di esaustività – di analoghi spruzzi che iconograficamente rimandano al nostro. Andando a ritroso nel tempo, in epoca tardo rinascimentale, un celebre esempio tra tutti, il putto dipinto da Lorenzo Lotto in Venere e Cupido – databile probabilmente intorno al 1530 e conservato al Metropolitan di New York – dove l’amorino “fa fontana” facendo felicemente passare lo spruzzo attraverso una ghirlanda tenuta dalla Dea per cadere poi letteralmente – e simbolicamente – sul suo ventre. E ancora le numerosissime rappre- sentazioni di Danae, dove Giove, innamorato, si fa pioggia dorata: da Correggio, a Luca Giordano, da Rembrandt a Tiepolo, fino al Novecento, quando è ancora tema amato e affrontato anche anche da Klimt e da Picasso.

Andres Serrano, A History of sex, 1996

Anche i nostri giorni ci regalano altre “sorgenti” da cui scaturiscono liquidi corporei, tra cui la famosa fotografia di pissing di Andres Serrano della serie A History of Sex realizzata nel 1996. Chiude il cerchio – last but not least – (senza titolo) l’ultimo lavoro realizzato per la scena da Tino Sehgal nel 2000, una sorta di antologia della storia della danza che si conclude con l’urinare a getto del ballerino nudo al centro della scena, un esplicito omaggio all’autoritratto di Nauman.


L’OCCHIO DELLO SPETTATORE. (O DELL’ARTISTA?)

Giocare a nascondino tra gli attori dell’opera

di MICHELA LUPIERI

 

I l primo ricordo di un lavoro di Bruce Nauman risale a quando avevo circa dieci anni.

Mi divertivo a giocare a nascondino nella Truncated Pyramid Room ideata dall’artista: una imponente installazione in cemento grezzo, alta circa sei metri, paragonata dagli autoctoni a un rudere abbandonato. Eppure Nauman l’aveva realizzata nel giardino di un noto collezionista d’arte contemporanea che, caso vuole, fosse un mio compaesano. A quel tempo non sapevo che si trattasse di un’opera d’arte, o meglio, era una questione che non mi interessava approfondire. Ricordo bene, però, che da subito la struttura fu una attrazione: il mio sguardo fu colpito da quella strana massa grigia che tendeva verso l’alto rispetto all’oriz- zontalità del prato. Inoltre, anche se da lontano poteva assomigliare alle case intorno, aveva qualcosa di diverso: le aperture non aveva- no le porte e il soffitto era privo del tetto. Ecco, quindi, che quando mi infilavo lì accadeva una cosa che a quel tempo non riuscivo a spiegarmi: al suo interno bastavo io perché tra me e l’architettura si attivasse uno scambio particolare. La luce solare, attraversando lo spazio, creava dei giochi cromatici e dei fasci di ombre allunga- te che dal nucleo si espandevano all’esterno e le aperture, come cornici, inquadravano porzioni sempre diverse del paesaggio cir- costante. Nella Truncated Pyramid Room lo spazio e il corpo (dello spettatore) sono dunque i protagonisti.

Solamente ai tempi dell’università riconobbi l’importanza di Nau- man nel panorama artistico mondiale e in quel lavoro, inaugurato nel 1989, l’emblema della sua pratica post anni Settanta. Se non avessi studiato arte e non conoscessi la ricerca dell’artista, credo che ora farei molta fatica a ricondurre Self Portrait as a Fountain allo stesso autore della Truncated Pyramid Room. La produzione artistica di Nauman è infatti tanto ampia e diversificata quanto dif- ficilmente etichettabile ma tra questi due lavori, alla vista fortemente antitetici, c’è una relazione molto profonda: tanto nella fotografia del 1966-67 quanto nell’installazione site-specific del 1989 la centralità che l’autore riserva all’esperienza diretta è fondamen- tale. Ma chi osserva colui che agisce? Se nell’installazione l’artista scompare, per scrutare da lontano uno spettatore intento a muo- versi tra gli spazi della struttura, nella fotografia è Nauman stesso a chiedere allo spettatore, e al suo occhio, di osservare il proprio corpo nell’esperienza bizzarra e singolare di essere una fontana! Ecco quindi, che gli anni successivi a Self Portrait as a Fountain coincidono con un significativo cambio di rotta nella produzione dell’artista: Nauman “dimentica” se stesso a favore di un coin- volgimento dell’altro. È negli anni giovanili che l’artista usa assiduamente il proprio corpo: da strumento, questo diventa parametro, oggetto o prototipo. “L’uomo è il suo corpo” scriveva Maurice Merleau-Ponty in The Structure of Behavior ma con Self Portrait as a Fountain Nauman va oltre, perché il corpo dell’artista è, addirittura, l’opera d’arte: un Nauman quasi trentenne, catturato in una fotografia a tre quarti, è a torso nudo, con le braccia alzate e con gli occhi leggermente inclinati verso il basso. Bloccato in una posa scultorea, si diverte a far zampillare acqua dalla bocca vivendo un’esperienza che, solo pochi anni più tardi, divenne una  prerogativa dello spettatore.


SELF PORTRAIT AS A FOUNTAIN

di LUCA SCARABELLI 

 

Italo Calvino nel capitolo dedicato alla rapidità delle sue Lezioni Americane – si trova giusto dopo la leggerezza e prima dell’esattezza – riferisce di un’antologia di Racconti brevi e straordinari di Borges e Bioy Casares, esprimendo l’ambizione di mettere insieme una raccolta di racconti composti di una sola frase, di una

sola riga, se possibile. Qui il mio tentativo è quello di raccontare la storia straordinaria dell’opera Self Portrait as a Fountain in modo breve – in un solo verso – per leggerla in un modo essenziale, ma anche/allo stesso tempo immaginifico e curioso. Costruirci attorno in un esercizio ermenutico conciso, una storia corta di una sola riga, anzi due. Due respiri. Altra possibilità balenata per questa prova su Self Portrait as a Fountain, è quella di fare scrivere il testo a un altro. Non ha accettato l’invito.

 

Bruce Nauman Self Portrait as a Fountain (1966)

Ci provo.

 

Mi arrendo.

  


GIOCARE A NAUMAN

La somiglianza della somiglianza

di ENZO UMBACA

 

Frugando nel porta cartoline, dopo che ero stato invitato a fare un intervento sull’autoritratto di Bruce Nauman, ho casualmente recuperato questo invito a una mostra dal titolo Ironic, il cui ritratto era allora da molti attribuito a me, forse per una somiglianza fisionomica o forse per i capelli rasati. Ho provato a chiedere a Lino Baldini, curatore della mostra, ma non si ricorda chi fosse quella persona e sinceramente l’attribuzione di questa immagine non mi dispiace, anzi la trovo divertente perché come dice Blaise Pascal “(...) due volti somiglianti, nessuno dei quali preso in se stesso fa ridere, fanno ridere insieme proprio a causa della somiglianza”. Self Portrait as a Fountain, dove l’artista è intento a spruzzare l’acqua della sua bocca, produce una sorta di fascino che evoca la dialettica della vita, l’acqua come fluido vitale e dimostra l’ironia e la volontà di mettere in gioco il proprio corpo come modo migliore per studiare se stesso.

Quante volte da bambini abbiamo gorgheggiato l’acqua in bocca e poi ci siamo spruzzati a vicenda? Eppure per il suo autoritratto Nauman il gioco l’ha proseguito fino all’età di 25 anni, facendone un capolavoro epico e profetico. Un ritratto della sua giovinezza e del nostro tempo. A proposito di fontane, c’è un detto al sud che dice: “se vuoi dissetarti devi andare alla fontana con tanta acqua”, ma quando si fa riferimento alla fontana di Duchamp ovviamente è più uno stimolo alla pipì. Ma ritornando all’invito scoperto dopo l’invito, alla somiglianza della somiglianza, all’“ironia” della sorte, come cita il titolo della mostra, mi piacerebbe che il vero autore e soggetto della foto venisse a conoscenza di questo articolo e sul prossimo numero di STRABISMI ci fosse la possibilità di chiudere questo cerchio.


RAPPORTO SULL’USO DEI BULBI OCULARI DEL SIG. NAUMAN BRUCE, DI ANNI 74

I primi risultati dell’indagine

di DANIELE CAPRA

 

Venezia, Italy 29 luglio 2015

Nei giorni scorsi abbiamo ripreso l’indagine nei confronti di Nauman Bruce, cittadino americano, uomo sul cui conto vi sono innumerevoli campi di imputazione, tra cui oscenità luminosa, realizzazione di riprese non autorizzate a persone inconsapevoli in contesti espositivi, appropriazione di opere altrui, dileggio di osservatore di opere in luogo pubblico, etc.

In particolare gli sforzi dei colleghi che mi hanno preceduto si sono concentrati su: a) il rapporto schizofrenico tenuto dall’indagato nei confronti dei visitatori di mostre cui erano esposte opere del suddetto; b) l’abuso di potere nel controllo visivo dell’osservatore; c) la violenza spaziale cui avrebbe costretto il pubblico delle sue installazioni. Noi abbiamo ritenuto oggi di aggiungere un nuovo fascicolo d’indagine al suo dossier relativo a fatti avvenuti nel 1966/1967, grazie al contributo di nuove dichiarazioni rilasciate spontanea- mente da alcuni conoscenti e al lavoro svolto dai colleghi con nostri informatori e sotto protezione.

Siamo del tutto certi di come il Nauman negli anni 1966 e nell’anno successivo fosse in perfetto stato di salute mentale e oculare. Aveva all’epoca appena compiuto venticinque anni e non è stata trasmessa al nostro ufficio alcuna foto in cui indossasse occhiali o in cui fosse visibile il ben che minimo difetto posturale che, all’analisi degli studiosi da noi interpellati, potesse sembrare il frutto di qualche problema di visione. Ora, mezzo secolo dopo il fatto oggetto di analisi, grazie a nuovi contributi investigativi abbiamo riconosciuto prove inoppugnabili di strabismo divergente di particolare gravità, prima sconosciuto. Infatti il Nauman da quanto fonti diverse hanno confermato: a) era solito guardare in avanti con un occhio facendo contemporaneamente con il secondo bulbo oculare, in gesto di scherno, il cosiddetto “occhiolino” a coloro che in situazione anteriore l’avevano preceduto; b) attuava tale comportamento non solo quando era alla guida della propria auto, ma anche durante le quotidiane sessioni di ginnastica ovvero danza ovvero recitazione che egli era solito fare per tenersi in forma e per finalità ludiche (documentate da svariate fotografie realizzate da amici e conoscenti). Non sappiamo che peso dare invece a quello che ci è stato riportato in merito da Cronenberg David, di anni 72, anch’esso cittadino americano, a noi noto come consumatore di sostanze psicotrope sin dagli anni Sessanta, che afferma di lavorare come cineasta. Il suddetto, in una dichiarazione resa spontaneamente che risulta di particolare interesse per la nostra indagine sul possibile strabismo dell’indagato, sostiene che, in certi momenti della sua vita,

Nauman presentasse un parziale raddoppiamento cranico, che potrebbe essere ricondotto, secondo le conoscenze attuali della scienza medica, alla sindrome di Giano bifronte. Il Cronenberg imputa a un vecchio signore di origine francese, che tutti chiamano “Marcel Il Fontaniere”, l’origine di tale tendenza, e ha fornito, a corroborare la sua affermazione, una foto polaroid in bianco e nero di grande rilevanza, realizzata a suo dire, alla fine degli anni Settanta e firmata sul retro con calligrafia insicura, di color oro, da un tale “James Dean Byars”, un probabile mitomane entrato in possesso dell’im- magine prima del Cronenberg.  A favore dei colleghi che proseguiranno l’indagine alleghiamo al dossier copia di tale fotografia, sulla cui autenticità sta indagando la polizia scientifica.

Il Cronenberg afferma inoltre che il cosiddetto “Fontaniere” è, secondo taluni, padre naturale del Nauman, ma, essendo entrato negli Stati Uniti illegalmente come produttore di ruote di bicicletta e giocatore di scacchi grazie all’aiuto di un poliziotto compiacente, conosciuto nell’ambiente come “Russo Il Doganiere”, non ne ha riconosciuto ufficialmente la paternità. Inoltre degli informatori con cui siamo entrati in contatto ci hanno messo a conoscenza che tale “Marcel Il Fontaniere” si sarebbe in maniera poco chiara procurato un orinatoio per collocarlo in una sede espositiva, causando scandalo e discussioni sui principali quotidiani, sulle riviste periodiche e su svariati libri pubblicati negli anni successivi. Risulta possibile quindi che tale comportamento, al di fuori di una normale condotta, avrebbe stimolato nel figlio azioni imitative, che rivelano altresì un’evidente natura edipica.

Ci risulta certo che il Nauman, in un raptus autorappresentativo, abbia infatti voluto portare a termine il gesto paterno, ritraendosi come una fontana che riversa del liquido nell’orinatoio paterno, la cui presenza non è visibile ma è solo di natura psicologica. L’indagato ha voluto lasciare traccia documentativa del gesto e ha ambiguamente assegnato all’azione un nome che fa riferimento al proprio padre naturale. Risulta agli atti inoltre che tale azione nasca da una spinta a mettere in discussione l’idea di autorialità rispetto all’ipertrofismo dell’ego della precedente generazione di artisti pittori statunitensi.

Nella mattina di ieri il sig. M.F., matematico nostro informatore, noto consumatore di LSD, sollecitato da un nostro agente, si è presentato a noi per lasciare una dichiarazione spontanea di particolare rilevanza attraverso una proporzione matematica, utile a delineare le caratteristiche del nostro soggetto:

ceramicadellorinatoio:carnedellartista=marcel:bruce

Consci della necessità di non smettere di indagare sul caso, so- prattutto per la sua influenza e implicazioni imitatorie, si ritiene di tenere alta la soglia di osservazione.

Ispettore Daniele Capra Corpo di Curatela Militante